COS’È LA PROSTATA

La prostata è un organo che fa parte del sistema riproduttivo maschile. Ha la forma di una castagna e, in un uomo di 25 anni, pesa circa 20 grammi. Il suo volume e il suo peso possono tuttavia variare molto, soprattutto con l’aumentare dell’età, e raggiungere pesi superiori ai 100 grammi.
La prostata può essere suddivisa in una zona periferica, una zona centrale e una zona transizionale. È attraversata al suo interno dall’uretra (uretra prostatica) e poggia con il suo apice su una struttura muscolare rappresentata dal muscolo elevatore dell’ano le cui fibre concorrono a formare lo sfintere striato dell’uretra; struttura estremamente importante per il mantenimento della continenza urinaria.

La prostata ha la funzione di produrre il fluido prostatico che è una delle componenti principali del liquido seminale. L’uretra ha la funzione di consentire il deflusso di urina dalla vescica verso l’esterno durante la minzione e, poiché una porzione di uretra, come abbiamo precedentemente osservato, è sita internamente alla prostata, modificazioni di volume e di struttura della prostata stessa possono creare ostacoli al deflusso di urina e di conseguenza rendere difficoltosa la minzione.
L’aumento volumetrico dell’organo, dovuto alla proliferazione delle cellule che compongono la zona transizionale, con conseguente modificazioni nel calibro e nel decorso dell’uretra prostatica configurano una patologia chiamata ipertrofia prostatica (IP).

COSA SI INTENDE PER IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA

L’aumento di volume della zona transizionale della prostata (la più prossima all’uretra prostatica) associato a una sintomatologia tipica, che non rispecchia necessariamente l’aumento di volume della ghiandola, definiscono l’ipertrofia prostatica. Questa patologia, chiamata anche adenoma prostatico o iperplasia prostatica benigna, è insieme alla cataratta la patologia più frequente nella popolazione maschile al di sopra dei 60 anni.
Ad oggi non è ancora del tutto noto il meccanismo alla base della patologia nonostante possa colpire dal 5 al 10% degli uomini intorno ai 40 anni fino ad arrivare all’80% degli uomini con età compresa tra i 70 e gli 80 anni.

L’aumento volumetrico della ghiandola causa una riduzione del calibro dell’uretra e un aumento della sua tortuosità che, associati ad alterazioni della componente muscolare del collo vescicale, dello sfintere uretrale e della ghiandola stessa, rendono più difficoltosa la minzione e individuano un gruppo di sintomi tipici della patologia, ed in grado di causare, in un primo momento, grossi disagi nella vita quotidiana, e , successivamente se non trattati in modo adeguato, a quadri complicati di notevole importanza.

I SINTOMI

I sintomi dell’ipertrofia prostatica benigna non sono legati esclusivamente all’aumento volumetrico della ghiandola ma anche ad alterazioni nella contrazione della componente muscolare (a livello del collo vescicale, zona in cui prostata e vescica sono direttamente a contatto). Ne consegue che pazienti con prostate relativamente piccole possono soffrire di gravi disturbi, mentre pazienti con prostate grandi possono allo stesso modo avere pochi sintomi della malattia.
I sintomi della patologia si possono distinguere in disturbi di tipo irritativo e disturbi di tipo ostruttivo.

I disturbi di tipo irritativo comprendono:

  • il bisogno di urinare frequentemente durante la giornata, emettendo basse quantità di urine, chiamato pollachiuria
  • il bisogno di urinare frequentemente durante la notte, con conseguente diminuzione delle ore di sonno, chiamato nicturia
  • la necessità improvvisa di urinare immediatamente chiamata urgenza minzionale.
  • il dolore e il bruciore durante la minzione (stranguria)

I disturbi di tipo ostruttivo (implicati in alterazioni dello svuotamento vescicale) comprendono:

  • la diminuzione del flusso e della forza del getto di urine chiamato mitto ipovalido
  • la sensazione di incompleto svuotamento vescicale al termine della minzione e successivo “fastidio” sovrapubico
  • la difficoltà a iniziare la minzione, nonostante la presenza di un forte stimolo a urinare
  • dopo aver urinato si nota la fuoriuscita di alcune gocce di urina o gocciolamento post- minzionale
  • non si urina con flusso continuo ma con getto intermittente (mitto intermittente o minzione in due tempi).

Tutti questi sintomi influiscono in maniera notevole con la vita quotidiana e spingono solitamente il paziente a rivolgersi al medico specialista urologo per una diagnosi e per l’impostazione della corretta strategia terapeutica.

LA DIAGNOSI

Dopo un’attenta raccolta anamnestica riguardante sia le condizioni di salute generale che le condizioni del paziente dal punto di vista strettamente urologico, lo specialista, già orientato verso un sospetto diagnostico, procede all’esame fisico del paziente. Due esami consentono la corretta diagnosi di ipertrofia prostatica: l’esplorazione rettale e l’ecografia addominale a vescica piena e dopo la minzione.

  • L’esplorazione rettale, che viene effettuata dall’urologo attraverso l’introduzione nel retto del paziente di un dito coperto da un guanto e adeguatamente lubrificato in modo da evitare ogni sensazione dolorosa, consente di apprezzare il volume e la consistenza della prostata in ragione degli stretti rapporti che essa ha con la parete rettale. Attraverso questa manovra si esplora in particolare la zona periferica consentendo all’urologo di indagare anche l’eventuale presenza di carcinoma della prostata che, talvolta, risulta palpabile ma che non è associato all’ipertrofia prostatica.
  • L’ecografia, che consiste nell’analisi di immagini trasmesse da una sonda posta sull’addome del paziente, viene eseguita inizialmente a vescica piena, per apprezzare al meglio le dimensioni della prostata e per valutare l’eventuale presenza di diverticoli e di calcoli, segno di ipertrofia prostatica complicata. L’esame può comprendere anche uno studio ecografico delle alte vie urinarie per escludere la dilatazione a monte dell’uretere. Viene poi richiesto al paziente di svuotare la vescica e l’indagine ecografica viene completata dallo studio dell’addome inferiore per valutare il residuo post minzionale, cioè la quantità di urina eventualmente presente in vescica al termine di una minzione spontanea.

PUÒ ESSERE UN FATTORE DI RISCHIO PER IL CARCINOMA DELLA PROSTATA?

L’ipertrofia prostatica non è un fattore di rischio per il carcinoma della prostata. È tuttavia possibile che le due entità cliniche coesistano nello stesso paziente.
Oltre alla visita urologica precedentemente descritta è consigliabile, dopo una certa età (normalmente dopo i 48-50 anni), eseguire un dosaggio del PSA o Antigene Prostatico Specifico (che si ottiene con un normale esame del sangue). Il PSA è una glicoproteina prodotta dalle cellule prostatiche di qualsiasi tipo come ad esempio le cellule ipertrofiche (appunto, aumentate di volume), cellule prostatiche in presenza di infiammazione, infezione o, tumorali. Il dosaggio è consigliabile a partire dai 48-50 anni proprio perché è altamente improbabile che il tumore della prostata possa manifestarsi prima.
Se il valore del PSA dovesse risultare alterato l’Urologo consiglierà successivamente indagini e/od esami più mirati per meglio definire il quadro clinico e le eventuali strategie terapeutiche più corrette.

LE COMPLICANZE DELL’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA

L’ipertrofia prostatica può risultare una patologia ad andamento subdolo e di difficile riscontro. Ai sintomi che alterano la qualità di vita del paziente e che sono predominanti nei primi momenti della malattia si affiancano condizioni che sono da considerarsi come quadri clinici gravi.
Tra questi possiamo ricordare:

  • ritenzione urinaria acuta (incapacità a produrre una minzione o “blocco della minzione”), che può colpire i pazienti che presentano la patologia da molto tempo e non adeguatamente trattati;
  • presenza di diverticoli vescicali, spazi privi di muscolatura nella parete vescicale che si formano a causa dell’eccessivo ristagno di urina e degli sforzi necessari a superare l’ostruzione urinaria conseguente alla patologia;
  • calcolosi vescicale, conseguente al ristagno di urina e al deposito di cristalli in vescica;
  • prostatiti e cistiti, patologie di norma non frequenti nel maschio la cui incidenza aumenta in corso di ipertrofia prostatica, dovute alla proliferazione batterica e favorite dal ristagno di urina;
  • reflusso vescico-ureterale, condizione in cui l’urina ristagna e risale, “controcorrente”, lungo l’uretere (il condotto che porta l’urina dai reni alla vescica) e causa di infezioni alle alte vie urinarie e che possono creare problemi di setticemia (infezione diffusa a tutto l’organismo).

IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA E PROSTATITE

Con il termine di “prostatite” si intende normalmente una infiammazione e/o infezione della prostata.

Questa situazione, che può spesso interessare pazienti di giovane età, può provocare una grande varietà di sintomi e disturbi alcuni dei quali molto simili e sovrapponibili a quelli causati dall’ipertrofia prostatica come la pollachiuria, la disuria e la difficoltà alla fase di svuotamento vescicale: questo perché l’alterazione infettiva o infiammatoria della ghiandola prostatica determina un ingrossamento dell’organo con conseguente effetto di compressione sulla vescica e, in particolare sull’uretra, che simulano la sensazione fisiologica della necessità di urinare.
Il quadro acuto della prostatite può accompagnarsi caratteristicamente con febbre alta e brivido.
Oltre all’infezione da parte di microrganismi tra le cause più frequenti di prostatite ci sono:

  • alterazione dell’alvo con evacuazione irregolare (sia diarrea o stitichezza) che possono provocare congestione del pavimento pelvico e quindi infiammazione della prostata
  • alimentazione non equilibrata, in particolare forti consumi di alcoolici e superalcolici che presentano additivi chimici che svolgono un’azione tossica sull’apparato urinario
  • il fumo di sigaretta in particolare, in grado di alterare la risposta dei tessuti ai danni subiti
  • l’attività troppo sedentaria con mancanza di sollecitazione della muscolatura pelvico-perineale e successivi fenomeni “compressivi” sulla ghiandola stessa.

Una volta fatta diagnosi dall’Urologo il trattamento è sostanzialmente farmacologico e comportamentale (in particolare consigli sulla dieta da seguire), molto raramente chirurgico.
Non è stato evidenziato in letteratura alcun nesso biologico e/o comportamentale tra infiammazione prostatica e tumore della prostata.

    LE TERAPIE

    Esistono diverse opzioni per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, scelte in primo luogo in ragione delle diverse caratteristiche cliniche del paziente e in secondo luogo in base alle aspettative e alle preferenze del paziente. Le opzioni a disposizione sono rappresentate dalla terapia medica, dalla terapia chirurgica di tipo endoscopico e dalla terapia chirurgica tradizionale.

     

    TERAPIA MEDICA

    Esistono diversi farmaci in grado di trattare in maniera soddisfacente questa patologia: si tratta fondamentalmente da due categorie di farmaci differenti, con azioni ed effetti diversi ma che possono tranquillamente essere utilizzati contemporaneamente. In tal caso si parla di “terapia di combinazione”.

    • Gli alpha bloccanti (o alfa-litici), nati come farmaci contro l’ipertensione arteriosa per la loro capacità di diminuire la contrazione muscolare delle arterie, sono ad oggi utilizzati prevalentemente nell’ipertrofia prostatica. Le molecole più conosciute sono doxazosina, terazosina, alfuzosina e tamsulosina. Agiscono sulla muscolatura del collo vescicale e della prostata, la cui contrazione, come abbiamo visto, è uno degli elementi principali nella sintomatologia legata all’ipertrofia prostatica. Essi devono essere assunti giornalmente e consentono, in buona parte dei pazienti, di ottenere un buon controllo sulla sintomatologia. Possono procurare un lieve calo pressorio e talvolta una eiaculazione retrograda. In quest’ultimo caso il piacere sessuale non risulta in alcun modo diminuito, tuttavia il liquido spermatico fluirà in vescica e non all’esterno. Questo effetto collaterale risulta reversibile e, con l’interruzione della terapia farmacologica, cesserà.
    • È stato scoperto che la crescita del tessuto prostatico, alla base dell’ipertrofia prostatica benigna è dipendente (ma non solo probabilmente) da un ormone chiamato diidrotestosterone (DHT): esso è prodotto dalle cellule prostatiche stesse a partire dal testosterone normalmente circolante nel sangue nel maschio. Gli inibitori della 5a-reduttasi (dutasteride e finasteride) impediscono questa conversione e di conseguenza riducono il volume prostatico, consentendo una parziale riduzione del volume prostatico. Recenti studi hanno dimostrato come l’associazione terapeutica di inibitori della 5a-reduttasi e alpha bloccanti, appunto la terapia di combinazione, consenta una notevole riduzione del volume prostatico e ottenga i risultati migliori per quanto riguarda il controllo della sintomatologia.

      Nonostante la terapia medica rimanga il primo passo nella terapia dell’ipertrofia prostatica benigna essa non risulta sempre efficace e costringe il paziente all’assunzione quotidiana di uno o due farmaci; è possibile quindi ricorrere alla terapia chirurgica per il controllo e la cura di questa patologia.

       

      TERAPIE CHIRURGICHE

      TERAPIA ENDOSCOPICA

      Fin dall’antichità sono stati tentati approcci che consentissero di asportare parti di prostata attraverso l’uretra per risolvere l’ostruzione derivante dall’ipertrofia prostatica benigna.
      Con il termine di chirurgia endoscopica si fa riferimento ad una tecnica chirurgica che consente l’accesso agli organi da trattare attraverso le cavità naturali del corpo. Parlando di prostata la tecnica prevede, dopo un’anestesia spinale che rende insensibile la metà inferiore del corpo o un’anestesia generale, l’introduzione di uno strumento rigido nell’uretra attraverso il pene con cui raggiungere la porzione di uretra compresa nella prostata. Possono essere proposti diversi tipi di interventi:

      • TUIP – Incisione Trans Uretrale della Prostata o del collo vescicale: dopo l’introduzione dello strumento si effettuano dei tagli nel tessuto prostatico e a livello del collo vescicale per allargare il lume naturale della prostata. Questo tipo di intervento è consigliato per pazienti che presentino prostate non voluminose. È un intervento rapido, che consente la dimissione in seconda giornata post operatoria, ed a basso rischio di sanguinamento.
      • TURP – Resezione Trans Uretrale della Prostata: lo strumento utilizzato è simile a quello utilizzato per la TUIP; dopo l’introduzione nell’uretra la parte di prostata che la circonda viene resecata con uno strumento che ricorda la pialla di un falegname. Durante questo intervento viene asportata solo la porzione di prostata che causa l’ostruzione e non vengono interessate le strutture nervose situate in prossimità della capsula prostatica. Di conseguenza questo intervento non incide sulle capacità erettili del paziente che, dopo un congruo periodo di tempo per consentire la guarigione della prostata, potrà riprendere la sua normale attività sessuale. Se in passato la resezione avveniva attraverso l’uso di correnti monopolari, oggi l’avvento della TURP bipolare (a differenza della monopolare la corrente elettrica non attraversa tutto il corpo ma solo lo strumento) ha consentito un controllo ottimale del sanguinamento rendendo questo intervento il più sicuro per quanto riguarda la terapia chirurgica endoscopica dell’ipertrofia prostatica. Normalmente il catetere vescicale viene rimosso in seconda o terza giornata dall’intervento
      • TULIP: si tratta di incisioni e resezioni transuretrali che utilizzano la luce laser per effettuare la resezione. La tecnica prevede, come le precedenti l’anestesia generale o spinale, tuttavia, a fronte di un buon controllo emorragico non presenta sostanziali vantaggi rispetto alla TURP bipolare ed è gravata da un maggior tempo operatorio e da una maggiore difficoltà di esecuzione. Inoltre, per le varie tipologie di Laser presentate in questi ultimi anni, non si sono ancora raggiunti studi clinici controllati con follow-up abbastanza lunghi (in questo caso si parla almeno 10-15 anni e con decine di migliaia di pazienti studiati) necessari a validare, al pari della TURP, tali tecnologie.

        LA TERAPIA A CIELO APERTO

        La terapia chirurgica a cielo aperto, che, prima del perfezionamento delle tecniche chirurgiche endoscopiche era frequentemente praticata, ad oggi trova applicazione per le prostate particolarmente voluminose (superiori a 100g) o in caso di ipertrofia prostatica complicata da voluminosa litiasi vescicale o da importanti diverticoli vescicali. Questa tecnica, eseguita in anestesia generale o spinale, prevede un’incisione nella parte inferiore dell’addome attraverso la quale il chirurgo, dopo aver aperto la vescica, potrà rimuovere l’adenoma prostatico. Anche in questo caso, la prostata non è completamente eliminata, ma viene asportata soltanto la porzione che circonda l’uretra. Questo intervento richiede una maggior degenza ospedaliera ed è gravato da maggiori complicanze intra e post operatorie. La rimozione del catetere vescicale è effettuata più tardi rispetto alle terapie chirurgiche endoscopiche, normalmente dopo la quinta giornata successiva all’intervento.

        La terapia endoscopica rappresenta, all’interno delle terapie chirurgiche, il gold standard nel trattamento della patologia, bisogna però ricordare che, come tutti gli interventi chirurgici non è libera da complicanze e può causare effetti collaterali.
        Per quanto riguarda la sfera della sessualità, nessuna delle terapie chirurgiche nominate ha effetto sulle capacità di erezione del paziente: se il paziente è in grado di ottenere una valida erezione prima dell’intervento, sarà in grado di ottenerla anche dopo la procedura. È da notare, tuttavia, che quasi tutti gli interventi chirurgici portano a eiaculazione retrograda definitiva. Infatti, pur mantenendo inalterato il piacere sessuale i pazienti che si sottopongono a questo intervento non potranno più vedere fuoriuscire il liquido seminale, che verrà dirottato in vescica, con conseguente infertilità permanente. Allo stesso modo sono eventualità, rare ma possibili, il sanguinamento intraoperatorio e/o la formazione di restringimenti (stenosi) conseguenti all’introduzione dello strumento.

        IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA ED EIACULAZIONE RETROGRADA

        Il processo dell’eiaculazione consiste, sommariamente, nella contrazione sinergica dei muscoli perineali e del pavimento pelvico con la contemporanea chiusura del collo vescicale: tutto questo può non accadere a causa di un danno neurologico e/o anatomico-muscolare. Quindi l’eiaculazione retrograda consiste nell’eiaculazione in vescica a causa della mancata chiusura del collo vescicale.
        L’orgasmo, che in questo caso viene definito “secco”, si verifica per una mancata emissione all’esterno dello sperma mentre si produce a vuoto la fase di emissione (e conseguente eiaculazione) grazie alla fisiologica contrazione dei muscoli perineali che producono una sensazione del tutto paragonabile all’orgasmo.

        Oltre a cause neurologiche di eiaculazione retrograda (lesioni della colonna vertebrale, interventi chirurgici del retroperitoneo, diabete, sclerosi multipla) le “cause anatomiche” più frequenti sono rappresentate da esiti di interventi chirurgici e/o endoscopici a livello della prostata, collo vescicale ed uretra. In questa tipologia di interventi si può creare un danno che altera l’integrità delle fibre muscolo-elastiche dello sfintere liscio a livello del collo vescicale in una percentuale che varia, a seconda della procedura eseguita, dal 30 al 100% dei casi.

        Infine anche alcuni farmaci sono in grado di avere, come effetto collaterale, la capacità di indurre eiaculazione retrograda come i neurolettici, diuretici, narcotici, antiipertensivi ed, in particolare, gli alfa-litici che sono farmaci utilizzati nel trattamento dell’ipertrofia prostatica o comunque nei disturbi dello svuotamento vescicale. Importante sottolineare come, a differenza dell’eiaculazione retrograda dovuta a procedure chirurgiche in cui il processo è irreversibile, alla sospensione della terapia medica l’effetto collaterale regredisce completamente. L’eiaculazione quindi ritorna automaticamente “normale”.